Uomini contro recensione film di Francesco Rosi con Gian Maria Volonté, Alain Cuny, Mark Frechette, Pier Paolo Capponi, Franco Graziosi e Mario Feliciani
Prima guerra mondiale. Il giovane sottotenente dell’esercito italiano Sassu (Mark Frechette), ingenuo e convinto interventista, desideroso di abbandonare le retrovie e di guardare in faccia la guerra, laddove davvero si combatte e scorre il sangue, viene inviato sull’Altipiano di Asiago per unirsi alla Divisione comandata dallo spietato generale Leone (Alain Cuny). Questi, persa la vetta del Monte Fior a favore dell’avversario austriaco, cerca di riconquistarla ad ogni costo, esponendo i propri soldati, sforniti dei mezzi necessari, ad una sistematica e inutile carneficina. Dinanzi alla disumanità e al cinismo mostrati dal generale e dagli altri alti ufficiali, Sassu maturerà una visione diversa del conflitto anche grazie all’esperto tenente Ottolenghi (Gian Maria Volonté), compagno d’armi dalle idee socialiste. Il giovane militare troverà la forza di ribellarsi, ma il prezzo da pagare sarà alto per questi Uomini contro.
“Il colonnello era dunque un mostro! […] Capii al tempo stesso che dovevano essercene molti come lui nel nostro esercito, dei prodi, e poi di sicuro altrettanti nell’esercito di fronte. Chi poteva sapere quanti? Uno, due, molti milioni forse in tutto? […] Con esseri del genere, quest’imbecillità infernale poteva continuare all’infinito…Perché avrebbero dovuto fermarsi? Mai avevo sentito tanto implacabile la sentenza degli uomini e delle cose”.
Louis-Ferdinand Céline e il suo dolorosamente sublime Viaggio al termine della notte chiariscono il senso del titolo del film prima ancora che sia lo stesso Volonté/Ottolenghi a farlo, a metà racconto, urlando il disperato ”Basta con questa guerra di morti di fame contro morti di fame!”.
Gli Uomini contro di cui parla Rosi, infatti, non sono i soldati semplici dei fronti avversi – tutti poveri cristi mandati al macello – ma questi e i propri superiori; coloro per i quali la guerra è soltanto un gioco tattico e muscolare; un lavoro, tuttalpiù.
L’indimenticato regista partenopeo mette in scena la carne da cannone dipingendo con corpose pennellate i volti smunti di operai e contadini chiamati al mestiere del morire ammazzati. Ne sottolinea gli sguardi angosciati mentre, chiamati al massacro, si ergono in difesa di valori sconosciuti e astratti. Non gli appartengono, infatti, il senso della patria, della vittoria e dell’eroismo, se non per vuota risonanza, per l’eco dei proclami dei loro generali e colonnelli, a propria volta espressione di classi sociali altolocate e distanti.
È, dunque, nella contrapposizione tra questi umili lavoratori armati di fucile e gli indifferenti signori della guerra, tra i volti avvizziti dei primi e le gelide espressioni dei secondi che si sostanzia il nucleo di questo racconto antimilitarista, il quale, traendo spunto dalla Grande Guerra, non intende raccontarla di per sé, ma piuttosto utilizzarla come spunto per denunciare l’assurdità e la violenza di ogni conflitto.
Uomini contro, tuttavia, è anche narrazione di lotta di classe allo stato ancora embrionale, di presa di coscienza e rivolta sociale ancora troppo deboli per emancipare “i sottomessi” dal secolare ruolo di vinti. Non manca, in questo senso, il rimando al clima politico dell’epoca della sua uscita in sala, la strizzatina d’occhio allo spirito ribelle sessantottino che, però, conferendo al racconto un retrogusto oltremodo demagogico e ammiccante, ne indebolisce in parte l’afflato universalistico.
È questo l’unico vero difetto di un lungometraggio che, peraltro, colpisce per la sua drammaticità e il suo realismo. Rosi afferra coraggiosamente la fasulla retorica di guerra e la scaglia a terra, ricoprendola di cadaveri innocenti e innaffiandola di giovane sangue. Come in Pasolini e Bresson, cerca facce vere, volti autentici. I suoi umili soldati sono fisicamente prosciugati, i loro visi scavati. Tra questi vi incastona, dissonante, il fanciullesco e angelico sottotenente Sassu, i cui tratti delicati – emblema d’ingenuità ed inconsapevolezza -, una volta saggiata la brutale realtà, non potranno sottrarsi all’indurimento e alla scarnificazione.
L’autore napoletano tiene costantemente in mano le redini del racconto, rendendo con inusitata precisione il senso dell’umana follia; evita, però, con altrettanta maestria ogni spettacolarismo da blockbuster, ponendo ogni sequenza al servizio di un pathos così equilibrato e sobrio da sfiorare il meccanicistico senza tuttavia scadervi.
Contribuiscono decisamente a rafforzare l’intensità del dramma la colonna sonora marziale e raggelante di Piero Piccioni e la fotografia fredda e nebbiosa di Pasqualino De Santis.
Quanto agli attori, ottimo, come sempre, Gian Maria Volonté, attore sublime ed eterno qui chiamato alla prima di una lunga serie di collaborazioni col maestro Rosi. Ma è soprattutto la prova di Alain Cuny ad impressionare per la spietata perfezione con cui riesce a rendere al contempo odioso e grottesco il suo algido generale Leone. Meno convincente, invece, è Mark Frechette, qui più volto che interprete.
In breve, Uomini contro è un film opportunamente disturbante e persuasivo, che evita qualsiasi imbellettamento e tira dritto sino al cuore della guerra e del suo abominio.
Tratto dal romanzo di Emilio Lussu Un anno sull’Altipiano e sceneggiato dallo stesso Rosi con Raffaele La Capria e Tonino Guerra, è un racconto da usare ancora oggi come antidoto all’assuefazione al quotidiano profluvio di immagini di eccidi provenienti da ogni parte del mondo; perché si (ri)prenda coscienza che la guerra, ogni guerra, prima ancora che un filmato disturbante mandato in tv, una foto sul giornale dinanzi a cui voltar pagina o un videogame spara-e-fuggi da giocare e rigiocare, è e resta soprattutto la più grande di tutte le catastrofi umane.
E, dunque, Uomini contro è in tal senso un film necessario, indispensabile. Perché, per dirla con Céline, “La grande sconfitta, in tutto, è dimenticare, e soprattutto quel che ti ha fatto crepare […] Bisognerà raccontare senza cambiare una parola, di quel che si è visto di più schifoso negli uomini e poi tirar le cuoia e poi sprofondare”.
Essenziale.
Pierpaolo