Vera de Verdad recensione film di Beniamino Catena con Marta Gastini, Marcelo Alonso, Davide Iacopini, Anita Caprioli e Paolo Pierobon al Torino Film Festival
Parla anche italiano il fuori concorso del 38esimo Torino Film Festival. Vera de Verdad, a dispetto del titolo di chiara matrice spagnola, è l’opera prima di Beniamino Catena e può contare sulle interpretazioni dei nostri Marta Gastini, Davide Iacopini, Anita Caprioli e Paolo Pierobon, solo per citarne alcuni. In verità, il tema dello sdoppiamento, che ha una sua rilevanza a livello narrativo, riguarda anche la produzione del film, con una parte ambientata in Cile. Forse per questa sua natura ibrida, Vera de Verdad è un prodotto molto anomalo, specialmente all’interno di un cinema italiano che sembra sempre meno permeabile alla sperimentazione e al rischio.
La ricerca dell’ignoto e dell’invisibile: è questo a spingere il regista Beniamino Catena. Sin dall’incipit, il racconto segue delle modalità estrose, mettendo in scena giustapponendole due figure che sembrano non aver nulla in comune tra loro. Da una parte una ragazzina di 11 anni, appassionata di astronomia, impegnata in un’escursione insieme al suo insegnante (e amico di famiglia) sulla costa ligure. In un’altra porzione di mondo, in Cile, un uomo che lavora come vigilante dell’osservatorio astronomico Alma. Dal montaggio, si intuisce che le loro vite saranno per sempre legate, come due stelle che si incontrano improvvisamente. La bambina scompare, Elías riesce a sopravvivere a un infarto. Ma cosa è realmente successo?
Vera de Verdad ha l’ambizione di provare a dare risposte a quesiti importanti. Come se non bastasse, sceglie una forma che si allontana da qualsiasi codificazione di genere. Non abbraccia la fantascienza, perché rimane continuamente ancorato a un realismo quasi documentaristico. Non è un thriller, perché la suspense viene più volte mitigata da altri spunti narrativi. Non è nemmeno il classico dramma sulla ricerca di una persona scomparsa.
Beniamino Catena mischia i registri, prende quello che più gli è utile e si smarca dalle catalogazioni. E, forse, è proprio questo a generare una sorta di attrazione verso il suo film, il fatto di essere fuori dagli schemi. Allo stesso tempo, però, non supportato da una scrittura in grado di riempire i vuoti generati dal racconto, il regista fatica a trovare una quadra e sembra girare intorno ai personaggi e al loro destino senza avere realmente qualcosa da dire.
Beniamino Catena prova a utilizzare le musiche dei Marlene Kuntz per dare spessore ai non detti, alle pause, alle svirgolate oniriche. E lo stile sembra essere funzionale. Il problema di Vera de Verdad è proprio l’eccesso della messa in scena. Tutto, dalle inquadrature alla partitura sonora, passando per le interpretazioni in sottrazione e le immagini simboliche, pare un bel contenitore per un contenuto che è molto esiguo. Il film si carica, infatti, di un’attesa quasi spasmodica per delle rivelazioni che sono continuamente rinviate o deviate. Dei grandi interrogativi posti, restano soltanto idee confuse e un approccio che richiede a chi guarda un’adesione acritica allo sviluppo della trama. Ed è un peccato, perché lo sguardo è quello giusto e di coraggio ce n’è da vendere. A difettare è una visione sintetica di quale sia il reale progetto alla base del film. Perché laddove manca il genio, solo la scrittura può essere d’aiuto.