Verso la notte recensione film di Vincenzo Lauria con Duné Medros, Alireza Garshasbi, Giorgio Magliulo, Paola Toscano e Mohammad Hassan Zadeh
Dopo il debutto nel 2020 al Taormina Film Festival e la vittoria del premio del pubblico nella sezione Indieuropea, sarà in sala il 6 dicembre Verso la notte, l’opera prima di Vincenzo Lauria.
La storia è un complesso puzzle che viene disvelato man mano che gli eventi si susseguono. I protagonisti sono due giovani aspiranti registi che cercano di portare a termine un documentario su una senzatetto. Maryam (Duné Medros) e Hesam (Alireza Garshasbi) hanno frequentato la stessa scuola di cinematografia, e forse non hanno molto in comune, ma giorno dopo giorno lavorando a stretto contatto finiscono con l’innamorarsi l’uno dell’altra.
Verso la notte non racconta una storia d’amore, ma al contrario cerca di addentrarsi nelle profondità del suo disfacimento. Hesam è il narratore che cerca di ricostruire il percorso sentimentale vissuto con Maryam. In una storia dal sapore di meta-cinema che si muove tra una ripresa e l’altra, ci e fa vivere tutte le fasi del loro sentimento: dall’innamoramento, fino ad arrivare alla notte.
Hesam, con la sua indagine, non fa altro che evidenziare le differenze tra i due. Lui vive il disagio dell’essere uno studente fuori sede che fatica ad arrivare a fine del mese. Lei non ha problemi economici, ma è alla ricerca del proprio posto nel mondo in un suo personale viaggio interiore. A ciò si aggiunge l’evidente incapacità, da parte di lui, di relazionarsi agli amici della stessa Maryam. L’indole ben più riservata e emotivamente ben più fragile di lui è quell’elemento che porterà la coppia a chiudersi in una relazione quasi morbosa. Una gabbia dalla quale Maryam proverà a scappare.
L’amore che viene portato sullo schermo diviene soffocante e insicuro, fatto di quelle stesse sensazioni che permeano la personalità di Hesam. Le sue insicurezze sono l’anima corrosiva della loro relazione, quelle paure che si incasellano nella sua testa e alimentano quei pensieri negativi che lo spingono a visualizzare i possibili scenari disastrosi. Hesam è convinto che chiunque sia migliore di lui al fianco di Maryam, pensando così non fa altro che concretizzare quella profezia che è annunciata in tutto lo svolgimento della storia.
Si tratta, dunque, di una profezia già annunciata in tutto il film che prende corpo tramite le parole del personaggio di Anna (Paola Toscano), la senzatetto. Flâneur dallo sguardo perso nel vuoto con la sua tormentata poesia fa emergere i sentimenti più profondi di Hesam. Quasi come se ella fosse una sorta di specchio nella quale rivedere le paure più profonde. Del resto, è possibile leggere le stesse parole di Anna come una citazione compiuta dalla memoria dello stesso Hesam.
Il tempo diviene la chiave di volta con la quale poter riuscire ad incastrare e a comprendere ogni singola tessera che compone il puzzle di Vincenzo Lauria. Una pietra che se lanciata increspa l’acqua e diviene quel ribollire della memoria che porta all’analisi di ciò che è avvenuto. Tempo che si fa fisico, tanto quanto i due registi in scena, e che è quell’elemento razionale che permette di sbrogliare la matassa dei sentimenti.
Attraverso la fotografia del film vengono disvelati i diversi piani temporali che si muovono all’interno della narrazione. Il colore e la grana mutano, insieme alle scenografie, proprio per poter cercare di sancire il passaggio da un piano temporale all’altro. Una separazione che permette la scissione tra: il documentario, il racconto di Hesam e il presente nel quale lui fa ammenda.
Infine, un plauso va sicuramente fatto agli attori che riescono con naturalezza a raccontare lo svolgimento dei fatti. Parole che si riescono a susseguire sia in persiano che nelle altre lingue creando concettualmente quella comunione che è possibile evincere dai diversi elementi inseriti nella pellicola.