Volevo nascondermi recensione film di Giorgio Diritti con Elio Germano, Oliver Ewy, Leonardo Carrozzo, Pietro Traldi, Orietta Notari e Gianni Fantoni
Premiato come Film dell’Anno ai Nastri d’Argento e vincitore dell’Orso d’argento per il Miglior Attore a Elio Germano, Volevo nascondermi ha avuto l’enorme sfortuna di trovarsi a passare nelle sale in un momento estremamente complicato per il cinema. Inizialmente programmato in uscita per il 26 febbraio, poi spostato al 4 marzo e di lì a poco ritirato per l’emergenza sanitaria, il film di Giorgio Diritti torna sugli schermi in un periodo di grande sofferenza, nella speranza di dare un segnale forte a un contesto che, più di molti altri, sta facendo fatica a risollevarsi.
Presentato in anteprima in molte arene estive, Volevo nascondermi sta facendo registrare numeri tutto sommato lusinghieri, a dimostrazione di un certo interesse anche per un cinema che prova a scandagliare territori lontani dalla commedia. Antonio Ligabue è stato infatti uno tra i più importanti artisti italiani del XX secolo e nel ricordo di molti è ancora viva la straordinaria interpretazione del compianto Flavio Bucci in uno sceneggiato televisivo del 1977. Vedere nei panni del pittore e scultore uno dei più grandi attori italiani di questa generazione rappresenta(va) un forte elemento di attrattiva. In molti si sono soffermati quindi soprattutto su questo aspetto, incensando la performance di Elio Germano e sottolineandone la capacità di far proprio un personaggio in cui convivevano allo stesso tempo una psicologia complessa e una fisicità molto animalesca.
Volevo nascondermi è però, soprattutto, un film di Giorgio Diritti, un nuovo tassello di un modo di fare cinema che si allontana dalla produzione media italiana. Il regista bolognese rifugge il biopic convenzionale e sceglie di lasciare sullo sfondo molti degli elementi che ci saremmo aspettati: la “follia del genio”, l’infanzia e l’adolescenza tormentate, che vengono evocate solo attraverso i continui salti temporali della prima parte, persino la pittura. Centro della narrazione diventa l’arte come strumento per arrivare agli altri, per essere ascoltati ed accettati, per non doversi più nascondere. È un film in cui la sofferenza del protagonista deriva proprio dalla mancanza di amore, dalla volontà di essere normali. Diritti si concentra quindi più sull’uomo che sull’artista, perché è nella natura stessa di Ligabue il non voler raccontare la sua arte, il sottrarsi alle interviste in quanto non c’è nulla da dire. L’evocazione prevale sulla rappresentazione, spesso a discapito di un reale coinvolgimento emotivo, che passa solo attraverso le suggestioni e le giustapposizioni tematiche.
Come in ogni suo film, Giorgio Diritti lavora affinché emerga la realtà di quello che sta mettendo in scena, la sua è una continua ricerca della verosimiglianza. Ovviamente, questo passa anche attraverso la riproduzione linguistica: dall’occitano di Il vento fa il suo giro, il regista ha sempre accompagnato alla credibilità storica delle immagini quella del linguaggio. Il dialetto emiliano stretto dei personaggi diventa infatti un’ulteriore barriera comunicativa per Ligabue, che ha passato molti dei suoi anni a esprimersi in tedesco. Nel cinema di Diritti, e anche in Volevo nascondermi, la componente linguistica non ha quindi una funzione stilistica ma diventa elemento narrativo e diegetico. È probabilmente il suo principio di differenziazione.
Chi si aspetta(va) un film sull’arte e sul modo di approcciarsi alla pittura e alla scultura di Antonio Ligabue probabilmente rimarrà deluso. Così come chi volesse uscire dalla sala con una piena conoscenza e consapevolezza sulla vita dell’artista. Volevo nascondermi cerca una via più complicata, meno banale, probabilmente anche anti-narrativa. E proprio per questi motivi, paradossalmente, riesce ad arrivare in profondità, a raccontare l’anima del suo protagonista, raggiungendo il punto di massima emozione proprio sui titoli di coda. Un film con una forte impronta autoriale, nel bene (per alcuni) e nel male (per altri).