Premiato nel 2015 come miglior regista a Orizzonti per l’opera prima L’infanzia di un capo, Brady Corbet torna alla Mostra con un film in Concorso. Vox Lux racconta una storia profondamente americana: una giovane ragazza, scampata a una tragedia che ha i medesimi contorni del massacro alla Columbine High School, diventa una pop star di fama internazionale.
Attraverso una narrazione che copre un arco di tempo molto ampio, dal 1999 al 2017, il regista vuole raccontare il cambiamento sociale al quale abbiamo assistito in questi anni servendosi di un personaggio che è, a suo modo, l’incarnazione della stessa America.
L’incipit è vigoroso e mette il film sulla buona strada, soffermandosi sul periodo di riabilitazione della ragazza e, soprattutto, sulla realizzazione del sogno nella terra in cui chiunque può farcela.
Corbet non fa sconti e utilizza la metafora per condannare una società che, per difendersi dalle minacce interne ed esterne, ha scelto la via del disimpegno e della vacuità. Le ferite della nazione vengono esposte chiaramente dal film e, in generale, a prevalere è una sensazione di angoscia e di incapacità di vivere serenamente in questi tempi bui. Corbet utilizza uno stile fortemente indipendente, lavorando sugli effetti stranianti e su una messa in scena frastornante.
Nella prima parte, quella della formazione, Vox Lux trova il suo orizzonte e riesce a toccare le giuste corde. Con l’entrata in campo di Natalie Portman, la quale si conferma comunque come un’attrice di sicuro affidamento, il film scivola rapidamente verso il baratro. La protagonista di Jackie, che interpreta la pop star nel suo momento di declino, non riesce infatti a limitare i danni causati da uno script che si perde improvvisamente, riproponendo l’ennesima storia di autodistruzione.
Il finale poi è estenuante e poco comprensibile a livello stilistico e narrativo. Resta l’amaro in bocca perché con un incipit di questo tipo il film avrebbe meritato una conclusione di tutt’altro respiro.
Sergio