WandaVision recensione serie TV Disney+ diretta da Jac Shaeffer con Elizabeth Olsen, Paul Bettany, Kathryn Hahn, Teyonah Parris, Kat Dennings, Randall Park, Debra Jo Rupp e Fred Melamed
Professione d’innocenza pre-WandaVision: chi vi scrive riconosce di non essere un fan duro e puro del MCU ma un appassionato del progetto orchestrato dalla Marvel nel corso di tutti questi anni. Una sorta di appassionato superficiale, capace di unire i punti narrativi più grossi, ma decisamente in difficoltà nel vincere il gioco dei piccoli dettagli.
WandaVision è un tackle scivolato alle certezze di chi ha sentito l’adrenalina fluire copiosamente dentro di sé durante le battaglie e le avventure di Captain America, Hulk, Iron Man e via discorrendo. I frastornanti ma rassicuranti film che hanno costruito un genere estremamente dibattuto ma remunerativo come pochi altri hanno lasciato il posto ad una piccola serie TV – al debutto su Disney+ – in 4:3, con i primi episodi in bianco e nero e con uno stile che richiama la TV americana del secolo scorso.
Certo, i protagonisti sono gli stessi Wanda Maximoff (Elizabeth Olsen) e Visione (Paul Bettany) di cui abbiamo apprezzato i superpoteri insieme agli altri componenti degli Avengers, ma oltre ai volti noti per lo spettatore ci sono pochi e scivolosi appigli per capire cosa l’abbia spinto a fagocitare la nuova attesissima serie Marvel che inaugura la Fase Quattro dopo la conclusione della saga dell’Infinito. L’androide che custodiva una delle Gemme dell’Infinito aveva trovato la morte per mano dello spietato Thanos ed eccolo ora invece sorridente e innamorato al centro di una sitcom americana modellata sul The Dick Van Dyke Show con tanto di risate registrate. La ragazza meglio nota come Scarlet, che è riuscita a tener testa da sola ad uno dei villain più iconici e profondi del genere, è una casalinga impegnata a fare amicizia con il vicinato e ad essere la moglie perfetta prevista dalla società del passato.
Verrebbe da dire che è tutto sbagliato, che i produttori Marvel, a partire da Kevin Feige, abbiano preso una sbronza colossale dopo aver toccato le vette degli oltre 23 miliardi di dollari di guadagno con 23 film e abbiano giocato con i generi. Se c’è una cosa che la strepitosa e cannibalizzante stagione dei supereroi al cinema dovrebbe aver insegnato, è che il caso è una variabile talmente sotto controllo da poter dubitare della sua stessa esistenza a livello narrativo.
Il mondo rivelato da WandaVision nei primi due episodi sembra essere la costruzione mentale dentro cui il personaggio di Elizabeth Olsen si è rifugiato dopo i traumatici eventi della vita reale e su cui qualcuno vigila in una sorta di contemporaneo The Truman Show. Lo straniamento dello spettatore è lo straniamento indotto di Scarlet i cui frammenti emotivi spuntano come funghi in ogni elemento della rappresentazione. Per limitarci alla superficie l’aspect ratio gioca con il perimetro mentale ristretto di un sogno lucido, gli inserti pubblicitari dedicati alle Stark Industries e alla Strucker raccontano di momenti cruciali della vera vita vissuta e l’atmosfera del sogno americano ci informa di tutto quello che sarebbe potuto essere e invece non è stato.
Bisognerà attenderà qualche episodio in più per mettere a fuoco trama e personaggi, persi in questo inizio sfidante, ma di sicuro WandaVision è un prodotto stimolante per la necessità di andare oltre la cortina fumogena dell’intrattenimento plug & play consolidato stabilito dalla stessa Marvel, sfidando se stessa e il suo pubblico affezionato.