Watcher recensione film di Chloe Okuno con Maika Monroe, Karl Glusman, Madalina Anea e Burn Gornam
Watcher è un thriller del 2022 diretto dalla debuttante Chloe Okuno e presentato in anteprima al Sundance Film Festival. La pellicola è uscita nelle sale americane lo scorso giugno, riscuotendo un discreto successo sia per la realizzazione che per il tema fondante che la regista voleva trasmettere.
Julia (Maika Monroe) è una giovane donna che insieme a suo marito Francis (Karl Glusman), si trasferisce da New York a Bucarest, in Romania, dove l’uomo riceve una invitante promozione nel campo pubblicitario. La ragazza si ritroverà così a fare i conti con una città e una lingua a lei sconosciute. Se in un primo momento la nuova avventura si presenta come un’ intrigante sfida per la protagonista, la presenza di un’oscura figura che sembra seguirla incessantemente farà precipitare Julia in un vortice di paura e paranoia.
Il lavoro dell’esordiente Okuno è decisamente interessante, in primo luogo perché nonostante la trama lineare la messa in scena curata e ragionata permettono di tenere alta la tensione, grazie a stilemi che in più occasione rimandano al grande cinema di Hitchcock. Inoltre, la protagonista Maika Monroe, reduce dal successo di It Follows – interessante, tra l’altro, come le due pellicole condividano un leitmotiv abbastanza simile – con il suo ampio repertorio espressivo regge sulle sue spalle un’opera costituita prevalentemente da introspettivi primi piani. Altra chiave vincente dell’operazione è la scelta di ambientare la storia in una città totalmente estranea al personaggio di Julia. Gli ambienti sconosciuti alla nostra protagonista e persino la lingua a lei incomprensibile permettono di rendere perfettamente il senso di estraniazione che vive la protagonista.
Bucarest è dipinta dalle inquadrature di Okuno senza che quest’ultima la esalti mai con campi lunghi o lunghissimi. La fotografia di Benjamin Kirk Nielsen aiuta a dipingere una Bucarest distaccata, quasi gelida, che viene descritta con colori freddi e desaturanti, tendenti a tratti ad un bianco asettico e a tratti ad un giallo acido.
Le sequenze cittadine sono quasi sempre presentate a contorno della protagonista, in secondo piano – ad eccezion fatta di qualche dettaglio che permetta di caratterizzare il folklore rumeno – e quindi le sue vie sono scrutabili solamente attraverso gli occhi della donna, a valorizzare il senso di accentramento dell’attrice. Julia non solo è protagonista delle scene ma perfino vittima della stessa telecamera, perfetta emulazione dell’occhio dell’osservatore. La donna è quasi sempre scrutata dall’occhio attento della camera che restituisce allo spettatore stesso la sensazione di essere suo aguzzino.
Il viaggio della protagonista si trasformerà in una lenta discesa verso la paranoia, a cominciare dal seme del dubbio instillato nella mente di Julia durante le prime giornate tra le strade cittadine. La protagonista si accorge immediatamente che qualcosa non va, il famoso sesto senso che ognuno di noi ha sperimentato almeno una volta nella vita fa scattare l’allarme nella sua testa, ma è un campanello silenzioso che nessuno sembra avere intenzione di ascoltare. La sensazione di stare in bilico tra pericolo reale e semplice proiezione mentale di una paranoia infondata sarebbe stato un tema molto interessante da esplorare. Purtroppo, però, a circa metà del secondo atto il dubbio viene quasi completamente fugato in favore di una critica sociale ben diversa e rivolta contro il patriarcato. Julia viene tacciata di isteria solamente perché sintomo apparentemente comune al genere femminile. Non è un caso che l’unica persona con la quale riesce a confidarsi e trovare conforto sia Irina (Madalina Anea), la sua vicina.
Il coprotagonista Francis, interpretato da Karl Glusman, non riesce quasi mai a reggere il confronto con la giovane attrice statunitense e porta in scena una conflitto coniugale ben poco esplorato che in maniera repentina e ben poco motivata crolla verso il baratro, sepolto da una lapide costituita da un’incomunicabilità tossica. L’uomo è poco attento al bisogno della partner e fin da subito cerca di ridimensionare le paura della donna, perché probabilmente frutto della sua fantasia. Addirittura, la colpevolizza, in maniera quasi involontaria, per l’atteggiamento del suo persecutore: “Non è che ti fissava perché tu stavi fissando lui?“. Burn Gornam, al contrario, fa un ottimo lavoro nei panni dello stalker, impassibile, inquietante e incredibilmente espressivo nella sua inespressività.
Watcher è un buon thriller che utilizza una scrittura abbastanza lineare e già vista per portare in scena un racconto molto curato nel lato tecnico, la regia di Okuno permette di tenere alta la tensione, coadiuvata dalla brillante prova attoriale della sua protagonista. Sicuramente da non perdere per gli amanti del genere.