Waves recensione del film di Trey Edward Shults con Lucas Hedges, Taylor Russell, Alexa Demie, Kelvin Harrison Jr., Renée Elise Goldsberry e Sterling K. Brown
Waves è un’ottima sorpresa all’interno del filone americano dei racial drama che in questi anni sta andando per la maggiore. Molto diversamente dal favolistico Green Book, premio Oscar indegno a parere di chi vi scrive, Waves di Trey Edward Shults (It Comes at Night) offre un potente affresco emotivo di una famiglia di neri americani del Sud della Florida. Il maggiore dei due figli, il promettente wrestler Tyler Williams (Kelvin Harrison Jr., molto bravo), entra in un vortice sempre più drammatico di eventi quando deve interrompere gli allenamenti per un grave problema ai legamenti e, nelle stesse ore, scopre che la sua ragazza è incinta e vuole tenere il bambino; dopo che Tyler, in preda a una crescente rabbia, arriva a commettere qualcosa di irreparabile che avrà gravi conseguenze su tutta la famiglia, il focus del racconto si sposta sulla sorella Emily (Taylor Russell) nel suo “ritorno alla vita” un anno dopo l’incidente, e sul suo rapporto sentimentale con Luke (Lucas Hedges). Sempre presenti sullo sfondo il padre Ronald (Sterling K. Brown) e la stepmother Catharine (Renée Elise Goldsberry).
Prodotto dalla A24, il che è una garanzia, Waves si avvantaggia di un budget piuttosto ampio per regalare agli spettatori una fotografia eccezionale, movimenti di macchina particolari ma mai scontati, e un caleidoscopio di ambienti e situazioni che rendono il film un vortice emotivo. Shults sa entrare nella famiglia Williams con uno sguardo avvolgente e mai giudicante: la presenza di tematiche quali il peccato, il perdono, la famiglia riunita, assieme alla tecnica di regia, a volte rendono Waves piacevolmente simile ai film del maestro Terrence Malick. Siamo insomma a livelli ben diversi da quelli di Green Book o dello stesso Moonlight.
Non mancano riferimenti al razzismo (“Per quelli come noi tutto è dieci volte più difficile!”, dice il padre a Ty), ma sono avulsi dalla retorica o dalla rivendicazione dei diritti, e i personaggi sono definiti a tutto tondo, non solo in relazione alla loro appartenenza a una o più minoranze: non è la storia di un nero omosessuale, o di un pianista nero in giro per il Sud degli Stati Uniti, ma è la storia della famiglia Williams, a prescindere da ogni messaggio marcatamente sociale.
Forte di queste originalità Waves è probabilmente il miglior film americano dell’anno, almeno fra quelli che potrebbero essere in corsa per l’Academy, raramente scontato, quasi mai retorico, originale nei contenuti come nella forma, nella struttura; anche se a dire il vero è più spesso la banalità, la retorica spicciola, ad essere apprezzata.
Ludovico