Wish recensione film Disney con le voci di Ariana DeBose, Chris Pine, Alan Tudyk, Evan Peters e doppiato da Gaia, Amadeus, Michele Riondino e Carlo Valli [Anteprima]
Cosa cerchiamo quando ci andiamo a rifugiare in mondi magici per un paio d’ore che sembrano durare una vita intera?
Ognuno di noi qualcosa di diverso, senza dubbio. Tuttavia, ci ritroviamo in posti del genere per un motivo che ci accomuna tutti: sentiamo un attaccamento a quei luoghi, qualcosa di innato e potente.
E cosa succede quando la casa di animazione che ha fatto sognare generazioni non riesce a veicolare quel senso di scoperta, di avventura, di curiosità per un mondo che non ci appartiene? Capita che venga lanciato un prodotto come Wish, il 62° classico Disney concepito appositamente per celebrare il centesimo anniversario della casa creativa.
Wish racconta la storia di Asha (Ariana DeBose, doppiata in italiano da Gaia) una giovane che abita sull’isola di Rosas, ridente regno mediterraneo governato dal carismatico Re Magnifico (Chris Pine doppiato da Michele Riondino) custode dei sogni del suo popolo, letteralmente.
Ogni volta che qualcuno raggiunge la maggiore età, Magnifico indice una grande cerimonia per fargli esprimere il suo più grande desiderio, così da metterlo “al sicuro”, con la promessa che un giorno il re lo esaudirà.
Ma come accade con qualsiasi persona che si auto consacri custode di qualcosa, Magnifico nasconde un lato oscuro, che la giovane Asha viene a scoprire, suo malgrado. Sarà suo compito – anche grazie a una magica stellina caduta dal cielo e al suo fedele capretto Valentino (Alan Tudyk, Amadeus), oltre ai suoi sette (notare il numero) amici – detronizzare Magnifico e mettere fine al suo regno opprimente.
È una storia di ribellione contro il regime vigente quella raccontata da Wish, in cui l’oggetto del desiderio di un popolo diviene il desiderio stesso. Una premessa, questa, potenzialmente vincente, specialmente in un periodo storico come quello che stiamo vivendo.
La vicenda, invece, si accartoccia su sé stessa, perdendosi nel suo stesso citazionismo e nella bidimensionalità cara ai primordi fiabeschi delle avventure disneyane. Magnifico viene presentato come un personaggio abbastanza stratificato, ma la sua parabola lo porta a diventare un emblema del male assoluto. Il suo epilogo sarebbe risultato prevedibile anni fa, ma che oggi, con lo spessore che personaggi secondari e antagonisti hanno acquisito all’interno di queste narrazioni, lascia spiazzati e sbigottiti (ma per i motivi sbagliati).
Tutto il film è una corsa sfrenata all’autocelebrazione, il che non è un male in sé, ma sono le modalità con cui si cerca di raggiungere tale risultato a lasciare l’amaro in bocca. Anche perché in questo modo la storia che si cerca di raccontare passa, inevitabilmente, in secondo piano, schiacciata da una ricerca della citazione in grado di far sorridere il pubblico che per anni e anni ha assistito all’evoluzione della storia disneyana.
Wish mette in gioco tutta una serie di possibili esplorazioni dei vari personaggi per poi lasciare queste diramazioni inesplorate e puntare su una conclusione che pare in completa antitesi con quanto premesso.
E se solitamente si può fare affidamento su una direzione artistica che porta la firma indistinguibile della casa di Topolino, in questo caso anche da quel punto di vista il film vacilla.
Disney è sempre stata la “regina cattiva” dell’animazione, la più bella del reame che non permetteva a nessuno di avvicinarsi anche solo minimamente alla sua qualità (almeno in Occidente). Pixar ha cambiato le carte in tavola, e allora c’è stato il primo assestamento, agevolato dall’acquisizione dello studio di John Lasseter e soci.
Oggi ci troviamo in un vero e proprio Rinascimento dell’animazione con produzioni che hanno mostrato che la regina non è più la più bella del reame. In questo caso, Disney dovrebbe rimboccarsi le maniche per mostrare che è ancora a capo dell’industria. Invece, Wish è il primo e più lampante segnale della resa. È un film visivamente insipido, con solo un paio di elementi veramente in grado di distinguersi; una rincorsa alla moda del momento travestita da omaggio a una storia centenaria.
A questo film manca un suo stile, perché ne sono stati inseriti troppi contemporaneamente. C’è tutto, eppure non c’è niente.
In un film che parla di sogni e desideri è strano assistere a una così grande assenza di magia.