Worth Dying For? recensione cortometraggio documentario di Nicky Milne sull’ambientalista e attivista Berta Cáceres con Miriam Miranda e Juan Jiménez
Svegliamoci! Svegliamoci, umanità! Non c’è più tempo!
(Berta Cáceres)
Ha lo sguardo fiero come sempre, Berta Cáceres, quel giorno di primavera del 2015, mentre pronuncia queste parole. Le enuncia con rabbia, le declama con trasporto: sono il suo monito, saranno il suo testamento. È un giorno importante per lei, quel 20 aprile 2015: è stata appena insignita del Goldman Environmental Prize. La sua ultradecennale lotta al fianco del popolo honduregno dei Lenca – le cui terre ancestrali sono minacciate dal progetto idroelettrico Agua Zarca – una diga in odor di multinazionale che violenterebbe l’intero ecosistema e costringerebbe la sua popolazione ad una vita ancor più dura – le è valso il più importante premio al mondo riservato agli attivisti ambientali.
Per questo, ora, elegante e orgogliosa, Berta mostra al mondo intero quel premio che ha la forma di un cerchio perfetto. Lei, però, non si illude affatto; ed è per questo che da quel palco pronuncia il suo appassionato “Svegliamoci!“. Perché sa che il cerchio delle battaglie condotte in difesa dell’ambiente e dei diritti dei popoli indigeni non è affatto chiuso. Anzi, è consapevole che l’eterna sfida tra Davide e Golia è solo all’inizio, continuamente rilanciata dagli abusi di potere e dalla violenza endemica che dal 2009 – anno in cui l’Honduras ha subito un duro colpo di Stato – ha stroncato le vite di centinaia di attivisti a difesa della terra e delle sue risorse naturali.
Berta, però, quel giorno del 2015 non ancora sa che il cerchio della sua vita sta per compiersi; che la sua lunga militanza a tutela dei diritti dei più deboli sta per terminare. Sono ormai pochi i mesi che le restano da vivere. Tanti quanti la separano dalla notte tra il 2 e il 3 marzo 2016, quando questa donna dal coraggio leonino verrà vilmente assassinata in casa sua, rea di aver ostacolato col proprio attivismo il perseguimento di ricchi interessi economici in danno della povera gente.
Non ha alcun dubbio, però, sua madre, Austraberta Flores Cáceres: “Gli assassini hanno sbagliato. Non l’hanno uccisa” – e, mentre pronuncia queste parole, nel suo sguardo si colgono la stessa fermezza e la stessa decisione della figlia – “Lei continua a vivere nei milioni di donne, uomini e giovani di tutto il mondo.”
Ed è proprio così: se è vero che la sua causa è stata ereditata con altrettanta passione dalla giovane figlia, Bertha Zúñiga Cáceres; e se è altrettanto vero che, nel 2017, a distanza di un anno dalla sua morte, un fiume di donne e uomini, semplici cittadini ed esponenti di associazioni a difesa dei diritti umani, si è riversato lungo le strade di Tegucigalpa assieme ai membri del Council of Popular and Indigenous Organizations of Honduras (COPINH) – l’organizzazione co-fondata da Berta in difesa del popolo indigeno – per chiedere giustizia per il suo assassinio.
Nicky Milne, regista di questo cortometraggio documentario di venticinque minuti prodotto dalla Thomson Reuters Foundation, parte da qui per raccogliere testimonianze sulla figura di Berta Cáceres e per raccontare dei tanti attivisti dell’Honduras che ogni giorno rischiano la vita per la difesa del proprio territorio. Sono piccoli grandi eroi che, sfidando ogni forma di violenza, si scagliano contro il groviglio di interessi economici e corruzione legati allo sfruttamento incontrollato e feroce delle risorse naturali del proprio Paese.
Sono persone semplici, in cerca di pace, eppure costrette a combattere. Tra queste, Margarita Pineda Rodriguez, membro del MILPAH – Movimento indipendente degli indigeni Lenca di Lapaz in Honduras, una sorta di organizzazione gemella del COPINH -, la quale accompagna Milne nei pressi di San José, dove, per via di una diga già costruita, un intero fiume che riforniva d’acqua i villaggi circostanti è stato interamente prosciugato.
“Penso alle generazioni future” – afferma la donna – “Io ho potuto provare direttamente quanto bello fosse andare al fiume, mettere la mano in una fossa sotto una pietra e trovare lì sotto un mucchio di pesci. E ora i miei nipoti, i miei pronipoti non hanno il privilegio di avere quello che ho avuto io. Per questo lottiamo.”
Già, lottare; proprio come fanno Maria e Felipe Benítez, moglie e marito attivisti del MILPAH, che, tra minacce e atti intimidatori di ogni genere, si battono affinché dalle loro parti, a Santa Elena, la diga in progetto non venga realizzata.
“Da quando Felipe ha iniziato ad occuparsi di diritti umani” – ci racconta Maria, afflitta da un grave problema di salute – “gli è stato detto di non confidare troppo sulla incolumità dei suoi figli e della sua famiglia. E così, mentre i tuoi figli crescono, ti preoccupi di dove siano e di cosa potrebbe accadergli. Ci hanno minacciato dicendoci che sarebbero venuti di notte per ucciderci. Una notte, cinque di loro sono arrivati e hanno cercato di ingannare Felipe per farlo uscire. Ho paura che ci portino via proprio come è successo a Berta.”
Sono racconti di straordinario coraggio quelli che ci propone Worth Dying For?. Storie di lotta e sacrificio che rispondono risolutamente alla domanda che è il titolo stesso del documentario: vale la pena di morire per tutto questo? Una domanda dalla risposta senz’altro affermativa, perché, come la medesima Margarita Pineda Rodriguez ci ricorda, “dopotutto, moriremo comunque, ma almeno saremo morti per una giusta causa.”
Quella stessa giusta causa che spinge mamma Austraberta, nonostante il dolore, a “restare in piedi, a combattere e a guidare la mia famiglia per andare avanti finché non sarà fatta giustizia in questo Paese.”
Un esempio di dignità, il loro, dinanzi al quale non v’è profitto che tenga.